Improbabile guida alle destinazioni della pancia e del cuore.
In una vita precedente, quando andavo per mare, ho visitato tanti Paesi, oggi dal mio ristorante vedo passare il mondo, che si siede al tavolo con la voglia di conoscere qualcosa del territorio.
Aspettative, resistenze, curiosità, preconcetti, gli ospiti che mi vengono a trovare disegnano un caleidoscopio di culture e modi di vivere a volte lontani. Non parlo solo di distanze geografiche, ma di vissuti, di abitudini, di desideri. Per questo ognuno di loro per me rappresenta un viaggio, un’opportunità, che rispetto e con cui voglio entrare in relazione.
Qualche capello bianco ce l’ho, e per questo, chiedo venia, mi prendo il lusso di parlare apertamente, a chiunque mi vorrà ascoltare, di quello che dovrebbe spingere ognuno di noi a fare una scelta, la scelta di fidarsi e di lasciarsi andare ad un’esperienza quando varchiamo la soglia di un ristorante.
Diciamo la verità, oggi la figura dello chef ha guadagnato grazie all’esposizione mediatica un fascino che prima non aveva. Il pubblico ha preso dimestichezza con il lessico dell’enogastronomia, ormai non esiste più lo staff o il personale, oggi parliamo di brigata, di sala o di cucina, gli strumenti da lavoro sono hi-tech, gli impiattamenti sono opere d’arte. E tutti devono saper disquisire con proprietà di linguaggio su abbinamenti di vino e su tecniche di cottura…l’Italia è il paese con sessanta milioni di tecnici della nazionale di calcio e pari numero di chef stellati.
Lungi da me voler rinnegare l’idea che il cibo sia cultura, storia, antropologia. Ma la cucina è soprattutto relazione, calore, ricordo. È qualcosa che attiene al territorio, per i prodotti tipici, le materie prime d’eccellenza, i piatti della tradizione. Ma riguarda molto da vicino anche la storia personale di ognuno di noi, la nostra vita, i nostri luoghi, la cucina dell’infanzia, i piatti delle feste, le cene a due, i momenti speciali…insomma ognuno di noi ha le sue madeleines. Se Proust vi sembra datato, il ricordo del focolare avito non suscita in voi alcuna tenerezza e men che meno rimpiangete la cucina sostanziosa della nonna, ma vi sentite invece magneticamente attratti dai cocktail con finger food, dalla cucina molecolare e dalle insegne che espongono le ambite stelle, mi auguro che possiate fare comunque vostro il mio consiglio.
Non siate pigri quando scegliete il ristorante per il vostro pranzo o per la vostra serata, non accontentatevi. L’ingrediente fondamentale da considerare è uno solo, la passione, che non è semplicisticamente l’amore per il proprio lavoro. È quel sentimento che ti spinge a vedere tutta la tua vita, ogni pensiero, ogni conoscenza, ogni occasione come un momento di arricchimento personale, da condividere poi con gli ospiti del tuo ristorante. Questa è la bussola che mi guida quando scelgo di entrare in un locale e di sedermi ad un tavolo. Non sono lì per mangiare, sono lì per fare un’esperienza.